viernes, 11 de noviembre de 2016

I vespri siciliani (3) - La obertura


Una de las oberturas más famosas de las escritas por Verdi es la de I vespri siciliani, algunos la consideran la más beethoveniana entre las oberturas de Verdi -yo también veo mucha influencia de Beethonven en ella- y, de forma autónoma, visita con cierta frecuencia las salas de concierto,  en ella aparecen algunos temas de la ópera, estando dominada por un extenso solo de violonchelo que anuncia el dúo del acto tercero entre Arrigo y Monforte, y termina con un espectacular crescendo, no hay duda de que en está obertura ya se masca la tragedia y, por muy rossiniano que sea el final, todo oyente intuye que nada de lo que va a comenzar terminará adecuadamente..

Michele Girardi ha señalado que Verdi utiliza en esta obertura la forma sonata simplificada (alla Rossini), con una introducción lenta, exposición, desarrollo, reexposición abreviada y coda, sin conectar sucesivamente los principales temas de la ópera, como ocurre en Un ballo in maschera, o sin exponer el "concepto" de la obra en un breve preludio, como hace en La traviata. Después Girardi introduce un esquema en el que realiza un sumario análisis de la pieza en el que identifica las melodías de la ópera y su colocación, y que vamos a reproducir seguidamente:

Si entendéis el italiano y tenéis ganas de profundizar un poco más en la obertura podéis leer el siguiente texto de Girardi:




In questo pezzo Verdi attua una sorta di narrazione diegetica onde imprimere nella mente dello spettatore il suo punto di vista sulla vicenda, dominata da una sorte tragica che colpisce un’utopia di pace, annientata da una violenza inutile. La morte entra in scena nelle prime battute della Sinfonia tramite la cellula proclitica scandita dagli archi e dalle percussioni, idea che trova molti esempi in Verdi, e in particolare in momenti chiave di opere recenti come Il trovatore (il «Miserere» corale della parte quarta) e La traviata («Prendi, quest’è l’immagine» di Violetta, nel finale).
Questa cellula pervade l’introduzione lenta della Sinfonia, intrecciandosi a due melodie: il «De profundis» per i congiurati, intonato nell’atto quarto dal coro interno come premessa all’esecuzione di Elena e Procida, e la cavatina di sortita di Elena (secondo numero dell’atto iniziale), che canta per gl’invasori reagendo alla sollecitazione di un soldato. Se nel primo caso la cellula accresce lo spessore di un’immagine già di per sé monitoria, comparendo nel secondo ricorda che nell’opera essa risponde all’esortazione di Elena rivolta ai siciliani codardi – «Mortali, il vostro fato è in vostra man» –, segnandone l’operato. 
Di morte parla anche il primo tema dell’esposizione, che anticipa il lapidario finale. In questo contesto negativo, la svolta al modo maggiore che accoglie l’ampia melodia dell’agnizione fra Monforte e Arrigo, col suo messaggio di speranza, chiama in causa un sentimento, l’amor paterno e filiale, che potrebbe riscattare tutti gli odii. 
Il terzo e ultimo tema dell’esposizione, che accende un elettrizzante crescendo di stampo rossiniano (es. 5a), prosegue solo apparentemente in un clima positivo, mentre in realtà elabora una frase di Monforte e Procida (es. 5b), che rimanda ancora al nodo del finale quarto. Il richiamo a questa endiadi musicale, dove la ferma volontà del medico ribelle di perseguire la vendetta collettiva contraddice e si afferma sugli auspici del tiranno redento dall’amore, incrementa il pessimismo che impregna questo brano. 
Questa visione di una fatalità funesta frutto di scelte incondivisibili, che domina e ipoteca l’azione, viene confermata dallo sviluppo che attacca in Sol minore, basato quasi per intero sul tema del «De profundis». Puntualmente la narrazione trova il suo corrispettivo nella logica formale: il movimento sinfonico di progressioni si arresta, mettendo in enfasi la frase di Elena in procinto di essere consegnata al boia (che nell’opera declamerà trepidante «Addio, mia patria amata»), mentre la figura della morte torna implacabile a rafforzare questa metafora. Infine, nella ripresa abbreviata, vengono ricondotti alla tonica Mi, e dunque collegati più saldamente, solo la melodia dell’agnizione, che rappresenta la speranza, e la frase che, riunendo le attese del tiranno e la volontà annientatrice del cospiratore, delude le chimere e ipoteca la conclusione fatale. 
Le difficoltà incontrate nell’elaborazione di una drammaturgia coerente con l’idea di partenza, funsero dunque da cartina di tornasole, catalizzando un mutamento di prospettiva al tempo stesso etico e politico di Verdi sulla natura delle rivoluzioni, anche se combattute per una giusta causa. Di ciò danno conto il trattamento riservato alla figura del “congiurato” Procida e il coordinamento tra alcuni scorci dell’opera e la sua Sinfonia, così satura di segnali di morte affatto generici, ma tutti collegati ad altrettanti snodi della vicenda.

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